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Incontri con gli autori / Gloria Riggio

Luglio 2019 | In casa di Gloria Riggio

Nata ad Agrigento a inizio millennio, Riggio studia pianoforte sin da quando era bimba, nutrendo grande passione per la musica così come per la fotografia, i viaggi, il teatro, il mare, i libri e la scrittura. Debutta a sedici anni con "Il mirto e la rosa". A 19 licenzia il nuovo libro: "La stagione del dubbio".

Mi pare che il tuo approccio alla scrittura sia estremamente serio. Dove trovi l'ispirazione?
Più che di un ritrovamento o di una ricerca parlerei nei termini di un incontro. L’ispirazione, se esiste, se non è cioè semplicemente, il dirompente potere della vita di incantare, la si incontra, per caso, ovunque: si siede e inizia a parlare, a sproloquiare talvolta, a domandare, ad ascoltare, la si incontra anche tacere. Una tazzina prima di contenere il caffè e dopo averlo contenuto, il pretesto che costituisce al cospetto di una amicizia antica, la pazienza con cui attende in fondo alla pila di piatti sporchi sul finire della giornata e così via: si tratta in ogni caso di luoghi di un possibile incontro o soltanto, brutalmente, di una tazza da caffè. Lungi dalla mia dipendenza da esso, intendo riferirmi ai termini del gioco il quale si diverte ad esistere ovunque e in nessun posto. È dunque serio, sì, il mio approccio alla scrittura, lo è nell’ottica di una conseguenza naturale.

Com'è il tuo rapporto con la letteratura?
Interlocutorio. È un dialogo intimo, e confidenziale. 
Mi è capitato moltissime volte di trovare le mie chiavi tra le righe di un libro, di porre ad uno d’essi le mie domande, e talvolta di trovare risposte non richieste in un titolo, in una pausa. Quella con la letteratura è una conversazione aperta e con risvolti inattesi dischiusi alle più disparate eventualità. Posso dire di aver viaggiato, sofferto ed ascoltato più di quanto lo sappiano gli abitanti di questa realtà: poiché ne esistono parecchie altre e conoscerle non vuol dire categoricamente condividerne le ragioni, ma comprenderle. Mi ha rivelato un senso entusiasta di riconoscimento e appartenenza.

Che differenze ci sono tra la Gloria persona e la Gloria poetessa?
Non credo si possa parlare di una netta scissione tra le due. Di norma una grande ironia mi tiene compagnia come una coltre. Ecco, forse l’unica differenza ha a che fare con una questione di difese apparenti che se nella vita materiale tentano di proteggermi, in quella più autentica crollano e smettono di esistere. La poesia concede il lusso di una sofferenza, di una gioia, di un trapassamento delle emozioni privo di tentativi di riparo e dunque autentico. Chi lo conosce, non prova neppure a difendersene.

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C'è molta disciplina nella tua scrittura o sei un'anima anarchica?
Una crasi tra le due cose: dentro di me il flusso delle emozioni è del tutto privo di coordinate, quello dei pensieri ancora più indisciplinato. Dalla scrittura, specie da quella in forma poetica, che prevede in quanto tale un gioco costante luci e ombre, mi sembra di pretendere un Aufhebung che contenga i significati attraverso una ricerca attentissima dei termini che li rivelino e facciano intuire (anche negli scritti maggiormente istintivi, anzi in quelli sembra che quella ricerca non richieda tempo ma si assolva in un processo creativo capace di includere i due aspetti). Credo che abbia a che fare con il tentativo di assottigliare il più possibile la distanza tra i termini e ciò che comunicano. Una ricerca che lasci lo spazio atto ora all’equivoco ora alla esattezza.

Cos'è l'arte per te?
L’incontro tra il viscerale e il sensibile. Poco importa che Georges Perec abbia usato la stessa definizione per descrivere l’evacuazione.

Che cosa pensi di dover migliorare di te?
Dovrei senz’altro aver meno paura della vita, talvolta dovrei senz’altro averne di più.

Cosa ti senti di consigliare a chi si avvicina ai tuoi libri?
Di mettersi in ascolto. Di sé, del mondo, di qualsiasi cosa si possa scoprire attraverso uno sguardo diverso. Come quando si passeggia ascoltando una canzone, ora un’altra: tutto cambia e di colpo si scorge una luce differente, una prospettiva ignorata sino a quel momento. Il consiglio è di cedere le armi, di esser nudi nella lettura. Probabilmente lo consiglierei nell’approccio a qualsiasi poesia e poeta. 

Cosa ti piace e cosa detesti?
Mi piace la libertà. La musica, la com(pl)icità, il mare, il silenzio, le parole, il gelato al pistacchio, l’onestà, il vino bianco, il viso di chi ride, i libri, i tetti spioventi, il caffè, l’acqua limpida, il profilo delle cose, ancora la musica, le edizioni antiche, l’odore delle librerie, la nostalgia, la curiosità, la pioggia e il suo odore, storie, sorridere agli sconosciuti, gli artisti di strada, una carezza, affondare i piedi nella sabbia fredda di sera, i sagaci, i brindisi, scoprire, temere, tremare, scarpe comode, sigari, cantare, un amore passato che si trasforma in affetto, la campagna, il mercato, gesti gentili. I vinili, i gelsomini, i Beatles, Bill Evans, le polemiche, Stan Getz, Chopin, Guccini, archi inaspettati sul finire di un brano. L’alba e il tramonto, il principio delle cose, la fine delle cose, passeggiare. Un incontro, confronti, interpretazioni, una scoperta, accogliere, strumenti musicali, pile di scritti, taccuini, l’Italia. Detesto la codardia dei sentimenti, la politica basata sul rancore, i violenti, i prevaricatori, i rassegnati, gli arresi, l’abbandono, una memoria vilipesa, la viltà nel temere il diverso, l’abitudine, una conoscenza accettata per pigrizia, per dogma, per compromesso, i broccoli, e ancora l'Italia.

Come ti poni all'interno del mondo?
Sto scomoda. Un equilibrio precario mi tiene quasi sempre sveglia. Più seriamente, ciò che tento di compiere è una cernita del bello che includa anche lo spettro delle cose credute brutte. 

Cosa vorresti regalarti per il tuo compleanno?
Ancora un altro anno.

Come ti vedi tra vent'anni?
Se oggi per strada, per caso, mi scopro riflessa nel finestrino di un’automobile, quasi mi spavento, la vita mi pare una cosa eccezionale e tremenda. Tra vent’anni spero di non essermi abituata ad esistere.

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